8 novembre 2016 Election Day: il conto alla rovescia
2015/01/03 - Anche quando la Casa Bianca pareva raggiungibile, quasi a un passo, non cedette mai alla lusinga della corsa alla nomination: neppure nel 1988, quando tutti lo pronosticavano vincitore e lui lasciò campo libero al mediocre, e sonoramente battuto, Michael Dukakis, altro ‘etnico’, origine greca; o nel 1992, quando non sfidò l’ambizioso governatore d’uno Stato minore, l’Arkansas, Bill Clinton. Negli Anni Novanta, poi, rifiutò un posto prestigioso e ‘a vita’ alla Corte Suprema. Le sue riluttanze gli valsero l’attributo di ‘Amleto dell’Hudson’. Ma l’indecisione nasceva, forse, dalla consapevolezza di essere esposto all’ineludibile stereotipo italo-americano, il mafioso. Anni dopo, raccontava: "Quando non mi presentai nel 1992 si trovarono due giustificazioni: che ero legato alla mafia o che avevo il cancro. Nessuno disse che avevo un’amante bionda di 28 anni". La corsa alla Casa Bianca l’avrebbe costretto a un’esposizione mediatica ossessiva e ininterrotta, lui che diceva di non credere alla mafia e che solo l’anno scorso aveva accettato di vedere ‘Il Padrino’: nel 1972, quando uscì il film di Francis Ford Coppola, rispedì al mittente l’invito dell’allora sindaco John Lindsay; né lesse mai l’omonimo romanzo di Mario Puzo. Ora che se n’è andato, il coro di elogi per Mario Cuomo è unanime: il presidente Obama lo ricorda come “il campione dei valori progressisti”, la “voce risoluta per la tolleranza, l'inclusione, l'equità, la dignità e l'opportunità”; e il sindaco De Blasio ordina bandiere a mezz’asta per un mese e dice “Abbiamo perso un gigante …, un uomo di principi incrollabili e dalla compassione senza eguali”. Primo italo-americano eletto governatore dello Stato di New York, Cuomo era nato nel retrobottega della piccola "groceria", drogheria, aperta nel Queens dai genitori d’origine campana, Andrea e Immacolata, due emigrati analfabeti. Ed è morto a Manhattan il 1° gennaio, a 82 anni, poco dopo che il figlio Andrew aveva prestato giuramento per il suo secondo mandato da governatore. Cuomo è stato stroncato da un’insufficienza cardiaca nella sua abitazione: a novembre, era stato ricoverato, ma pareva stare meglio ed era tornato a casa. Dal 1983 al ‘94, fu tre volte governatore: popolare, specie grazie alle politiche di riduzione delle imposte e sostegno della scuola pubblica, si batté sempre contro la pena di morte –il che gli costò il posto nel ’94, battuto da George Pataki-. Cattolico e ‘liberal’, era pro-aborto, posizione che gli valse le severe critiche della Chiesa cattolica. Studi in legge, una passione per la dialettica, era maestro d’eloquenza, un poeta del valori sociali: nel 1984, incantò la convention con un discorso sulle contraddizioni dell’America reaganiana. Ma sapeva pure tirare fuori le unghie. Nessuno, tranne Nelson Rockfeller, il miliardario repubblicano, ha mai governato lo Stato di New York più a lungo di lui. A New York, i Cuomo sono una dinastia, come nell’Unione i Kennedy, i Bush, magari i Clinton, e hanno la loro matrona, Matilda Raffa, che diede a Mario cinque figli. Andrew, 58 anni, già sposato con una Kennedy –Kerry, settima figlia di Bob Kennedy-, ministro dell’edilizia nel Clinton 2, poi procuratore generale di New York e, dal 2010, governatore dello Stato, potrebbe scendere in lizza per la Casa Bianca nel 2020. Su di lui, pesa di meno lo stereotipo italo-americano. Mario l’ha sempre combattuto, stigmatizzando pellicole e serie tv, come ‘I Soprano’, che suggeriscono l’equazione ‘italiano = mafioso’; arrivando ad affermare che la mafia “è un sacco di palle" -1985 dopo l’assassinio del boss Paul Castellano fuori da una steakhouse di Midtown-. Di lui, voleva che la gente dicesse: “Era una persona onesta”. L’epitaffio sulla tomba se l’era già scelto: “Uno che ci ha provato”. (Il Fatto Quotidiano, gp)