8 novembre 2016 Election Day: il conto alla rovescia
2015/01/28 - Jeb Bush ha pronunciato nei giorni scorsi un discorso che viene già considerato una sorta di programma della prossima campagna per la nomination repubblicana alla Casa Bianca e che contiene anche un messaggio al partito: la destra conservatrice è ingabbiata in una logica d’opposizione sterile all’Amministrazione democratica di Barack Obama ed è incapace di essere propositiva, anche ora che ha la maggioranza in Congresso sia alla Camera che al Senato. Ma la presidenza, dice Jeb, figlio e fratello di presidente –con lui i Bush farebbero un filotto dispari, il 41°, il 43° e il 45° della serie-, si conquista con un piano serio, non con fumose polemiche. Quale? Il suo, ovviamente, che prevede –la sintesi è di Ugo Caltagirone, corrispondente dell’ANSA dagli Usa- di abbassare le tasse sulla classe media facendo pagare un po' di più chi sta meglio, di fare trarre vantaggio dalla ripresa "non solo i portafogli di banche e imprese ma anche le buste paga", di riiormare l'immigrazione cercando il modo di mettere in regola milioni di clandestini. E che dire dell'oleodotto Keystone?, che i repubblicani vogliono e su cui il presidente minaccia il veto: "Approvarlo è stata una stupidaggine", dice Jeb. Pare di sentire parlare Obama, altro che un leader repubblicano. Ma l’ex governatore della Florida lo sa bene che, per arrivare alla Casa Bianca, bisogna occupare il centro e smarcarsi dalle ali estreme, populista e fondamentalista, del movimento conservatore.Però, per uno che parla così, la nomination può essere un problema. Mentre Bush 3° faceva questo discorso, i suoi potenziali rivali infiammavano con proclami –o, almeno, alcuni di loro ci provavano- il Forum dei conservatori nello Iowa. Dove lui non è andato, come, del resto, Mitt Romney, l’altro cavallo di razza della competizione repubblicana, almeno a giudicare dal pedigree. Una sfida aperta, dunque, quella di Jeb, a coloro che gli saranno avversari nelle primarie: basta proclami e sterili attacchi al presidente Obama. "Serve un confronto serio su tutti i temi vitali per il futuro del nostro Paese, quello che manca in questo momento a Washington … Se si vuole tornate alla casa Bianca, lo si fa solo con un messaggio di speranza e di ottimismo, con un'agenda costruttiva e fatta di proposte serie. Non con la rabbia e con il rifiuto di tutto". Un messaggio forte e chiaro, dunque, a cambiare strategia: non più una campagna "alla Romney", insomma, che portò alla disfatta del 2012, figlia della deriva populista dei Tea Party. (gp)