8 novembre 2016 Election Day: il conto alla rovescia

 

Presidenza: il dopo Obama ideale? Non un altro Obama

20150325ObamaHillary2015/03/25 - Gli americani non vogliono un altro Obama alla Casa Bianca. Facile commentare con una battuta quanto emerso da un recente sondaggio di Cnn e Orc International: stiano tranquilli, che non corrono il rischio di ritrovarselo, visto che il presidente democratico sta esaurendo il suo secondo mandato e non è più rieleggibile. Ma il dato implica la bocciatura del tipo di presidente che Obama è stato e delle scelte che ha fatto: il 57% del campione di elettori intervistato ha risposto che il successore dovrebbe cambiare gran parte delle politiche attuate dalla Casa Bianca dal 2009 in poi, mentre solo il 41% vorrebbe una continuità con l'azione di Obama. Certo, una buona componente di questo risultato sono l’ ‘effetto stanchezza’ e l’ ‘ansia alternanza’: dopo un po’, gli americani si stancano del loro presidente e vogliono cambiarne il volto e i modi. Per il 59%, il candidato ideale deve essere un leader già affermato e non un volto nuovo della politica: quasi un identikit di Hillary Clinton. E sempre il 59% preferisce un candidato con esperienza di governo piuttosto che un politico che abbia solo lavorato come legislatore nel Congresso o nelle assemblee parlamentari statali: meglio, quindi, un governatore che un senatore. Tutto indica che i motori della campagna 2016 si stanno mettendo in moto: i sondaggi, l’annuncio della candidatura alla nomination repubblicana di Ted Cruz, ieri l’incontro di Obama con Hillary alla Casa Bianca. Un colloquio durato oltre un’ora, durante il quale gli argomenti da trattare erano molti: il rapporto tra il presidente e l’ex segretario di Stato in campagna, gli strascichi delle polemiche che hanno recentemente colpito l’ex first lady, l’osmosi in corso di personaggi dallo staff di Obama a quello di Hillary. Non è ancora noto quando Hillary annuncerà la sua candidatura alla nomination democratica, ma molti si attendono una primavera fitta di annunci, perché i candidati, una volta dichiaratisi, possono davvero cominciare a raccogliere fondi per la loro campagna: ce ne vorranno tanti, di soldi, e cominciare presto a fare cassa può essere un vantaggio. Anche se Hillary parte quasi senza rivali fra i democratici, perché il vice-presidente Joe Biden esita –come è solito fare- e il governatore del Maryland Martin O’Malley non pare fare il peso. Hillary può solo temere di cadere in qualche trappola: dall'account personale di posta elettronica utilizzato quando era segretario di Stato ai soldi donati alla Fondazione di famiglia da molti governi stranieri, tra cui l'Arabia Saudita, i cui rapporti con gli Usa sono solidi, ma non sono idilliaci, sia per questioni di diritti umani e civili sia per l’appoggio a gruppi dell'estremismo islamico. "Ridia i soldi all'Arabia Saudita", la provoca il senatore Rand Paul, che denuncia l'incoerenza di Hillary nel promuovere il ruolo delle donne e poi accettare denaro da un Paese che "è in guerra con le donne". (gp)

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