8 novembre 2016 Election Day: il conto alla rovescia

 

Obama, slalom elettorale tra Cuba, Iran, Scalia

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Uno slalom elettorale tra Cuba e l’Iran, tra la nomina del successore del giudice Scalia e le angosce da rigurgiti di razzismo dei neri d’America: un percorso impegnativo, per il presidente Obama, che affronta da ‘anitra zoppa’ l’ultimo anno del suo doppio mandato, con il Congresso tutto contro, perché l’opposizione repubblicana ha la maggioranza sia alla Camera che al Senato. Per di più, Obama deve fare l’equilibrista fra i candidati democratici alla sua successione: conosce meglio Hillary Clinton – ammette -, ma riceve alla Casa Bianca anche Bernie Sanders e giudica il dibattito fra i due “salutare” per il partito. Non misura le parole, invece, nei confronti di Donald Trump, che resta in testa alla corsa fra i repubblicani: “Non sarà mai presidente”, dice, perché la presidenza “non è uno show, è una cosa seria”.

 

Nonostante le manovre di sbarramento dei repubblicani, il presidente non ha intenzione di chiudersi a testuggine alla Casa Bianca; e annuncia il viaggio a Cuba, largamente preventivato, a otto mesi dalla fine del gelo e dalla ripresa delle relazioni. Il 21 marzo, giungerà all’Avana, vedrà Raul Castro e pure membri della società civile”, imprenditori e dissidenti – la formula ufficiale recita “cubani con diverse esperienze di vita” -. La visita servirà “a rafforzare i progressi verso la normalizzazione delle relazioni con Cuba, a far avanzare i legami commerciali e quelli tra i popoli che possono migliorare il benessere dei cubani e ad esprimere il sostegno Usa ai diritti umani".

 

Sarà la prima volta di un presidente degli Stati Uniti a Cuba in quasi 90 anni: l’ultimo, e pure l’unico, fu Calvin Coolidge nel 1928, prima della Grande Depressione, della Seconda Guerra Mondiale, di oltre 50 anni senza dialogo tra l’Avana e Washington. "Questa visita storica – afferma la Casa Bianca - è un'altra dimostrazione dell'impegno del presidente a tracciare un nuovo corso delle relazioni bilaterali e a collegare i cittadini americani e cubani tramite l'espansione dei viaggi, degli scambi e dell'accesso all'informazione". Lunedì, sono ripresi i collegamenti aerei; e sono stati appena avviati colloqui per incentivare gli scambi.

 

L’annuncio fa sussultare gli aspiranti alla nomination repubblicana, e alla successione di Obama: specie Ted Cruz, senatore del Texas, nato in Canada a Calgary da padre cubano e madre americana, e Marco Rubio, senatore della Florida, nato a Miami, ma figlio di una coppia di esuli cubani. Non mostra, invece, ostilità Jeb Bush, l’ex governatore della Florida, moglie ‘latina’, ma messicana.

 

Al presidente, Cruz e Rubio e, in genere, i conservatori contestano che Cuba resta una dittatura, che la ripresa delle relazioni non ha coinciso con una significativa liberalizzazione della società cubana. Obama replica: “Solleverò direttamente la questione delle differenze che resrano”. Ma il Congresso conserva strumenti per frenare la normalizzazione dei rapporti con l’isola, come per rallentare quella con l’Iran dopo l’accordo sul nucleare dello scorso autunno.

 

Il presidente andrà pure in Vietnam a maggio per la prima volta. Si direbbe quasi che Obama stia accumulando i dossier di cui discutere – c’è pure la riforma dell’immigrazione -, per avere più opzioni su cui mediare. In tal senso, l’improvvisa scomparsa del giudice Scalia aggiunge una tessera al mosaico del negoziato.

 

Al di là delle sortite propagandistiche dei candidati repubblicani, è palese che il presidente ha diritto di designare un successore di Scalia e di sottoporlo alla conferma del Senato: Bush glielo riconosce e il guru nero Ben Carson, uomo di poche parole e spesso banali, questa volta ci azzecca, “Se fossi io il presidente, il nuovo giudice lo designerei di sicuro”. Obama non vuole strafare e non punta a sostituire il conservatore, e rispettato, italo-americano Scalia con una icona della diversità ‘liberal’: prospetta la scelta di una persona qualificata, brillante, competente –fin qui, tutti d’accordo- e avvia contatti con il Senato.

 

Gli sarà forse più facile rasserenare i senatori conservatori che i leader afro-americani, preoccupati per i sussulti di razzismo stigmatizzati pure da Hillary. All’America bianca ‘supremazista’, non vanno giù gli otto anni di un nero alla Casa Bianca. (gp)

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