8 novembre 2016 Election Day: il conto alla rovescia

 

Romney, Biden, Bloomberg, gli assi nella Manica

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Come dei bari al tavolo del poker, i due maggiori partiti statunitensi, i democratici e i repubblicani, giocano la partita delle primarie con un asso nella manica. O, almeno, loro sperano che sia un asso, ché magari è solo una scartina - di abbagli in queste elezioni ne hanno già presi un sacco -. Il poker, poi, si fa col morto, che, dopo il Super Martedì, potrebbe resuscitare - o defungere del tutto -. Usciamo di metafora e vediamo la situazione.

 

I repubblicani – Loro, l’asso ce l’hanno sul tavolo: Donald Trump, il magnate dell’immobiliare e showman che finora le azzecca tutte e guadagna voti anche quando litiga col papa, insulta gli immigrati e tratta male le donne. Ma l’establishment del partito e i conservatori moderati non ne vogliono proprio sapere: primo, perché non se ne sentono rappresentanti; secondo, perché temono faccia loro perdere le elezioni.

 

Il problema è che l’anti-Trump giusto non c’è. Per mesi, tutti hanno dormito su due cuscini: c’era Jeb Bush, figlio e fratello rispettivamente del 41° e 43°, per la serie ‘buon sangue non mente’. Ma Jeb è stato un flop: non s’è mai svegliato dal suo letargo, neppure durante i dibattiti televisivi, quando dormiva in piedi mentre Trump lo massacrava di botte verbali, “Sei molle”. Bush III s’è fatto da parte, dando strada al suo ‘figlioccio’ politico, il senatore Marco Rubio, che, però, non vince mai e, quanto a grinta, non ne mostra molta di più del suo mentore, anche se è più sveglio.

 

L’altra ipotetica alternativa è Ted Cruz, il senatore del Texas. Ma è come cadere dalla padella nella brace: è populista come Trump, è evangelico e, per di più, non è neppure simpatico: la moglie, quando scoprì che lo doveva seguire da Washington, dove aveva un lavoro alla Casa Bianca, ad Austin, ne fece una malattia. “Non piaci a nessuno, neppure ai tuoi colleghi”, lo zittisce Donald nei dibattiti.

 

E allora? L’asso nella manica, da calare per sventare la candidatura di Trump, è Mitt Romney, un ex quasi tutto, ex organizzatore dei Giochi invernali di Salt Lake City nel 2002, ex governatore del Massachusetts ed ex candidato alla Casa Bianca nel 2012 (battuto dal presidente in carica Barack Obama). L’imprenditore Romney, un mormone, non è vecchio –ha 68 anni, due meno di Trump e uno di Hillary Clinton- e non è neppure usurato: un anno fa, a candidarsi ci pensava, ma poi face un patto con Bush e si tenne in disparte.

 

Adesso, per il bene del partito potrebbe ripensarci. E tanto per cominciare mette in giro una voce velenosa: “C’è una bomba nella dichiarazione dei redditi di Trump, o non paga le tasse o non è ricco come dice”. Debole, per una volta, la replica: “Ve la mostro appena posso. Non ora, però: sotto sotto accertamento, ce l’hanno con me”. C’è sempre un’equitalia con cui prendersela, anche a Washington.

 

I democratici – Loro, l’asso nella manica lo tengono solo per precauzione: nel caso che la loro campionessa, Hillary Clinton, fori in vista del traguardo, o venga travolta da qualche scheletro aprendo l’armadio di casa, o venga asfaltata da Bernie Sanders nelle primarie – non ci crede più nessuno -. La carta riserva è Joe Biden, il vice di Obama, a lungo tentato di scendere in campo, poi rimasto in panchina, anzi nella sua bella casa all’Osservatorio Navale sulla collina di Washington: un uomo rassicurante, sorridente, disteso.

 

Il morto (solo metaforico) – L’ex sindaco di New York, e magnate dell’informazione, Michael Bloomberg, medita sui risultati del Super Martedì per decidere se candidarsi come indipendente, lui un democratico che si presentò come repubblicano. Questa volta, il terzo uomo potrebbe davvero scompigliare il gioco, prendendo i voti dei conservatori moderati e dei democratici non convinti da Hillary. Con Bloomberg, sarebbe – o sarà - un’altra corsa. (AffarInternazionali.it - gp)

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