8 novembre 2016 Election Day: il conto alla rovescia
Barack Obama va più fiero delle bombe non sganciate che di quelle sganciate. Il che, però, non gli impedirà, di qui alla fine del suo mandato, fra dieci mesi e dieci giorni, di farne ancora sganciare. Anche se in Libia, dopo quel che dice, c’è da scommetterci che i soldati Usa non ci metteranno piede.
L’occasione per una disanima della politica estera del doppio mandato di Obama alla casa Bianca è una lunga intervista alla rivista The Atlantic, cui il presidente si confida volentieri. Le dichiarazioni escono mentre è in visita a Washington il premier di Ottawa Justin Trudeau: finalmente un canadese con cui parlare, ché il suo predecessore Stephen Harper era proprio un residuato degli anni di Bush.
In conferenza stampa proprio con Trudeau – i due sul clima s’intendono a meraviglia -, Obama dà una stoccata ai candidati repubblicani alla Casa Bianca: Trump, Cruz e Rubio - dice - s’equivalgono “sull'immigrazione e su altri temi". L'unica differenza è che lo showman usa un linguaggio più provocatorio. E avverte, ammiccando, il premier canadese di aspettarsi un esodo in massa dagli Usa, se vincesse Trump.
Nelle parole di Obama, c’è pure una certa intolleranza per “alleati scrocconi” come l’Arabia saudita – e magari pure la Turchia, che ha una sua agenda più nazionale che atlantica e un leader, Erdogan, “autoritario” -: l’auspicio è quello d’una “pace fredda” tra Riad e Teheran; e di evitare di finire dentro “conflitti settari”. Di Vladimir Putin, dice che “non è mica totalmente stupido” e riconosce che la Russia sarà sempre in vantaggio sull’Occidente sull’Ucraina.
Ma andiamo per capitoli. Con un dubbio: il ‘mea culpa’ basterà ad Obama per cavarsela con un Pater Ave Gloria al confessionale della storia?
Libia - Il sostegno Usa all'intervento Nato in Libia nel 2011 è stato “un errore", in parte causato dalla convinzione sbagliata che Gran Bretagna e Francia avrebbero sostenuto un onere maggiore nell'operazione. Cinque anni dopo, proprio mentre ci sono indiscrezioni su piani per azioni militari contro le milizie jihadiste in Libia, il presidente fa un mea culpa: “Avevo fiducia che gli europei, considerata la vicinanza con la Libia, sarebbero stati più coinvolti” dopo il rovesciamento del regime di Gheddafi: invece, l'allora presidente francese Nicolas Sarkozy lasciò l'Eliseo l’anno dopo; e il premier britannico David Cameron gli aveva tenuto bordone senza piani precisi. Quanto all’Italia, partecipò riluttante, mentre oggi è pronta a guidare una missione in Libia di cui non esistono, però, né mandato, né presupposti e tanto meno obiettivi.
Dell’intervento 2011, Obama ammette: "non ha funzionato", nonostante "il mandato Onu, i buoni piani, la coalizione messa insieme": "Abbiamo evitato vittime civili su larga scala e quasi certamente quella che sarebbe stata una prolungata e sanguinosa guerra civile. Ma, nonostante tutto, la Libia è un caos”.
Siria - Dalle bombe sganciate di cui si pente a quelle non sganciate di cui si rallegra, senza però darne credito a colui che fu l’artefice di quella mancata escalation siriana nell’estate 2013, cioè Vladimir Putin. Obama è "orgoglioso" di avere bloccato i raid ipotizzati come ritorsione per l'uso d’armi chimiche da parte del presidente al-Assad. "E' stata una decisione giusta", dice ora; e racconta: "Sentivo che la mia credibilità fosse in gioco, come quella dell'America … Essere riuscito a sottrarmi alle pressioni ed a pensare di testa mia … , rispetto alla Siria e alla nostra democrazia, è stata una decisione dura, ma penso che sia stata quella giusta".
Il che non ha però impedito agli Usa di avviare dal 2014 raid prima sull’Iraq e poi sulla Siria, non, però, come intromissione in una guerra civile tra regime e ribelli, ma come argine contro l’avanzare delle milizie del sedicente Stato islamico, che è “come Joker in un film di Batman”.
Alleati scomodi - Il caos tragico in Medio Oriente non troverà soluzione fin quando Riad e Teheran non impareranno a condividere la loro vicinanza. Obama invita così gli alleati di sempre, i sauditi, e gli iraniani a siglare una sorta di ‘pace fredda’, denunciando che “la loro competizione contribuisce a nutrire guerre a distanza e caos in Siria, Iraq e Yemen". (Il Fatto Quotidiano - gp)