8 novembre 2016 Election Day: il conto alla rovescia
E’ ora che il capo del partito prenda in mano la situazione e fischi la fine della ricreazione: basta farsi dispetti in casa, quando è chiaro chi ha vinto e quando fuori c’è un avversario da battere, pericoloso e inquietante. E Barack Obama, 44° presidente degli Stati Uniti, s’appresta ad assumere il ruolo di capo del partito democratico. Anzi, l’ha già fatto,
Appena noti i risultati dell’ennesimo e ultimo Super Martedì di queste primarie, che hanno indicato e legittimato, senza ragionevole dubbio né politico né aritmetico, Hillary Clinton come candidata alla Casa Bianca, Obama ha chiamato sia la sua ex rivale e poi suo segretario di Stato e il senatore Bernie Sanders, s’è congratulato per la loro campagna. Oggi, riceverà Sanders, che gliel’ha chiesto.
Per i media Usa, il presidente si prepara ad appoggiare ufficialmente Hillary, a darle l’endorsement, ad aiutarla nella corsa contro Trump; e s’aspetta che Sanders sia d’aiuto e non d’intralcio. Contatti sono in corso tra gli staff della Casa Bianca e della candidata per definire come e dove Obama può esserle più utile.
"Dopo aver trascorso mesi seduto nelle retrovie della campagna elettorale”, Obama intende iniziare a fare campagna per Hillary, spinto dall'idea che "nulla è scontato", e vuole intensificare gli attacchi che ha già condotto contro Trump. "Ci ha indicato la sua intenzione di voler passare molto tempo a fare campagna", ha detto al NYT Jennifer Psaki, direttore della comunicazione del presidente.
Un ruolo non inusuale, nella tradizione politica degli Stati Uniti. Semmai, caduto in disuso, perché, negli ultimi casi, il presidente uscente era troppo screditato per essere utile alla causa del candidato del suo partito: successe a Bill Clinton con Al Gore, che non voleva sentirsi addosso l’imbarazzo degli scandali del suo boss; e successe a George W. Bush con John McCain, fra l’altro un suo rivale nel partito repubblicano.
Obama ha invece recuperato popolarità in questo ultimo scorcio del suo doppio mandato e, se vede continuità tra la sua presidenza e quella della Clinton, è molto preoccupato dalla prospettiva che Trump gli succeda alla Casa Bianca: anche per questo, vuole provare a convincere chi dubita dell’ex first lady e aiutarla a conquistare i sostenitori di Sanders. La scorso settimana, Obama ha già parlato con il senatore che si autodefinisce ‘socialista’: uno scambio di opinioni rivelato dalla Cnbc, nel quadro degli sforzi per unificare il partito democratico.
Il presidente non fa mistero delle riserve su Trump, né in patria né all’estero. Dal G7 in Giappone, s’è fatto eco dei timori manifestati dai leader dei Grandi; e mette spesso in guardia da chi sbandiera "falsi miti", invita a diffidare da chi fa leva sulle ansie della gente per avere l'attenzione dei media, ma è solo a caccia di voti.
Prima di scendere in campo, il capo del partito democratico ha però atteso la fine delle primarie, senza incidere sul risultati. La Clinton ha consolidato la legittimazione della sua nomination vincendo martedì le primarie in California, New Jersey, New Mexico e South Dakota, mentre Sanders suggellava una campagna eccezionale con successi nel Nord Dakota e Montana.
L’ex first lady, che ha la maggioranza assoluta dei delegati alla convention democratica di fine luglio a Filadelfia, anche senza bisogno dei super-delegati, ha fatto il discorso della vittoria che l’era rimasto in gola otto anni or sono, quando, il 7 giugno, aveva ceduto le armi all’allora senatore Barack Obama. Prima donna a conquistare la nomination presidenziale, Hillary raggiante sul palco con accanto il marito Bill, ha detto d’avere finalmente infranto il “soffitto di cristallo”.
Parlando ai suoi sostenitori, Sanders non ha riconosciuto d'essere stato sconfitto. Ma, secondo fonti di stampa, il senatore s’appresta a congedare almeno la metà dello staff della sua campagna: segnale di smantellamento inequivocabile. (Il Fatto Quotidiano - gp)