8 novembre 2016 Election Day: il conto alla rovescia

 

Fbi & mail, Comey il direttore che spariglia il gioco

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Fino a venerdì sera, erano relativamente pochi gli americani che sapevano chi fosse James Brien ‘Jim’ Comey Jr., il direttore del Federal Bureau of Investigation, l’Fbi, che, in italiano, diventa incomprensibilmente femminile. Oggi, pochi ignorano chi sia, anche se quasi nessuno sa perché abbia fatto quel che ha fatto.

 

Una figura, quella di Comey, un avvocato di 56 anni, che non ha lo spessore mitico e senza uguali di J. Edgar Hoover, il direttore del Bureau da quando esiste con questo nome (1935, quando c’era alla Casa Bianca Franklyn Delano Roosevelt) fino al 1972, dopo essere già stato direttore dal 1924 del Bureau of Investigation, il predecessore dell’Fbi, creato nel 1908.

 

I direttori dell’Fbi sono pellacce. Ce ne sono stati solo sette finora, capaci sovente di sopravvivere ad avvicendamenti alla presidenza da un partito all’altro: accadde a William H. Webster, nominato da Carter e rimasto con Reagan, e a Robert S. Mueller II, nominato da Bush e rimasto per tutto il primo mandato di Obama.

 

Una ricetta della durata? Immischiarsi poco nella politica, quasi per niente nelle elezioni; e servire l’Istituzione più che le persone. Hoover non avrebbe mai preso la decisione di Comey: irrompere con un’inchiesta nella campagna presidenziali a dieci giorni dall’Election Day; per di più al buio, perché il direttore dice di ignorare se gli elementi in possesso dell’Fbi siano penalmente rilevanti.

 

La nomina del direttore del Bureau spetta al presidente degli Stati Uniti, ma ci vuole la conferma del Senato, come per i giudici della Corte Suprema e i ministri. Dal 1976, il mandato è decennale, ma a parte Webster, altro nome celebre, come William S. Sessions e Louis J. Freeh, nessuno l’ha rispettato alla lettera. Nel 2004, con la riorganizzazione della sicurezza conseguente agli attacchi terroristici dell’11 Settembre 2001, il direttore del Bureau è anche direttore dell’Intelligence nazionale.

 

Uno dei trucchi del mestiere è quello di non mettersi in mostra e di non attirare troppo l’attenzione dei media, se non quando c’è da celebrare qualche successo nella prevenzione o nella repressione.

Con la decisione di riaprire l’inchiesta sulle mail di Hillary Clinton, Comey non ha certo rispettato la regola d’oro: sui media americani, è una tempesta di titoli che lo riguardano e soprattutto d’interrogativi, stile ‘che cosa’ e ‘chi’ glielo ha fatto fare. Qualche esempio: “E’ fuoco incrociato sul direttore Comey”, New York Times; “Comey sotto accusa per la sua controversa decisione”, Washington Post; e addirittura “E’ ora che Comey se ne vada”, Cnn, firmato dall’analista legale della rete ‘all news’ Paul Callan.

 

Chi è Comey? Dopo avere fatto un’esperienza nella giustizia federale a New York, fu numero due al Dipartimento della Giustizia dal dicembre 2003 all’agosto 2005, quand’era presidente George W. Bush: gestiva la routine del ministero.

 

Lasciata l’Amministrazione federale, è stato consigliere e vice-presidente della Lockheed Martin, con sede a Bethesda, alle porte di Washington, e poi consigliere della Bridgewater Association, che ha sede a Westport, nel Connecticut. All’inizio del 2013, altro cambio di carriera: dal settore privato all’accademia, alla prestigiosa Columbia Law School di New York.

 

Nel settembre di quell’anno, il presidente Obama lo scelse come nuovo direttore dell’Fbi: prevalse la sua fama di uomo serio e integerrimo sul suo profilo di repubblicano dichiarato. Oggi, Obama ha forse il dubbio che il repubblicano abbia prevalso sul professionista, con il rischio di coinvolgere nel discredito la stessa Istituzione, che gode nell'Unione di un prestigio ai confini della leggenda, costruito sul mito dei Gmen (gli uomini del governo) e alimentato da decine di film e di serie.


Comey s’è comportato come un arbitro che agisce per compensazione, quando ha il dubbio d’avere sbagliato: a luglio, forse un po’ in fretta, chiuse l’inchiesta sulle mail della Clinton senza sollecitarne il rinvio a giudizio; adesso, l’ha riaperta al buio e in extremis. Come fischiare un rigore al 90° dopo avere annullato un gol nel primo tempo: il rischio è quello di aggravare lo sbaglio, senza fare giustizia. (gp)

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