8 novembre 2016 Election Day: il conto alla rovescia
Io spero che vinca Hillary e ho il terrore che vinca Trump. Esattamente come la vigilia del referendum sulla Brexit: speravo vincessero i ‘remain’ e avevo il terrore che vincessero i ‘leave’, com’è ahimè puntualmente successo.
Attenzione!, però. Io non sono di quelli che spero che vinca Hillary perché e la meno peggio dei due e che, se fossi americano, la voterei turandomi il naso; né mi passerebbe neppure per la testa di votare per uno dei candidati alternativi, il libertario Johnson, che saprà fare crescere una piantina di marijuana, ma ignora dove si trova Aleppo e non sa citare neppure il nome di un leader estero, o la verde Stein, che considero alla stregua di un voto disperso (e già ci sono costati cari, all’Occidente e al Mondo, quelli dispersi nel 2000 per Nader, che fecero vincere la Florida e la Casa Bianca a Bush jr).
Io considero Hillary Clinton preparata, esperta, competente e, come presidente e comandante in capo, affidabile: una secchiona che studia a casa e fa bene nei compiti in classe. Certo, non ha il carisma dell’Obama candidato. E ha nei e difetti: è donna di potere; ha aderenze “cospicue” per usare una citazione che, oltre che al Conte Zio, s’adatta allo sposo Bill; ha scheletri nell'armadio e opacità in bella mostra; e non è simpatica, comunicativa, empatica, né ha la battuta che spiazza.
Ma leader con tutte queste doti, e senza competenza ed esperienza, né l’umiltà per studiare dossier e problemi, ce ne siamo già permessi troppi a casa nostra: non possiamo concedercene in America, perché c’è in gioco il Mondo, non solo il nostro benessere. Hillary significa un mandato senza sogni e utopie. Ma Trump, che ha ora l’inerzia a favore, significa sette anni di disgrazie, anche se saranno solo quattro. (gp)